sabato 12 giugno 2010

8. Il saluto

Tutti i giovedì pomeriggio Giovanni prende il battello delle due e va in città per le riunioni settimanali del circolo di caccia. Io sbircio dalla finestra del piano di sopra. Da dietro la tenda lo vedo passare diretto verso l’ approdo, con quell’aria così distinta propria più di un dottore che di un contadino quale lui è. Veste un completo chiaro ed un cappello a tesa larga, il suo incedere è lento, i suoi passi distesi e silenziosi. Ha il portamento fiero di un soldato e la delicatezza di un poeta. Ogni volta che percorrere il tratto di strada sotto casa mia, abbassa la tesa del cappello davanti agli occhi, senza voltarsi e senza perdere il ritmo calmo del suo andare.
Arriva il battello, lui sale. Io in lontananza lo seguo con gli occhi e aspetto ancora. Lui sta sempre nella parte scoperta della barca, in piedi e sembra guardare verso di me ma non sono sicura, da così distante non riesco a vedere la direzione del suo sguardo così sposto la tenda e continuo a seguirlo mentre si allontana. Quando non riesco più a vederlo mi sporgo dalla finestra, è lontanissimo ma in quel momento, ogni volta, lui alza il braccio come se mi stesse salutando e lo tiene alzato finché scompare all’orizzonte. Solo allora io rispondo al suo saluto nella segreta speranza che, anche solo per un attimo, mi abbia vista.

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