La vita di una giovane donna degli anni '20: brevi racconti in diretta dalla laguna
mercoledì 21 luglio 2010
36. Il sigaro
“Non so con quale coraggio Vi presentiate in questa casa!”
E’ la voce di mio padre ed è compostamente alterata.
“Non mi presento con coraggio Signor Toso, ma con la dignità di un uomo onesto che sa cos’è il lavoro e che sa riconoscere il valore di una persona quando la vede, come lo riconosco in Voi”.
Non credo alle mie orecchie! Mi accosto alla finestra e spio da un angolino: Giovanni è a casa mia, Gesù aiutami! Continuo ad origliare.
“Un uomo onesto non insidia una creatura ingenua come la mia Bianca”.
Ah, ora sono la sua Bianca!
“Mi trovate d’accordo Signore. Ed io sono un uomo onesto. La Vostra Bianca è una creatura pura, la più pura. Per questo io porto il massimo rispetto a lei e a Voi che l’avete cresciuta così”
Mai visto tanta fermezza.
“Rispetto?! L’isola parla di tutt’altro!”
Di male in peggio…
“Eh si. L’isola parla. L’isola parla sempre, e troppo. La fame di pettegolezzo offusca il buon senso delle persone. Ma Voi non siete un uomo fra tanti e so che non farete l’errore di confondervi con la gente comune…”
“Continuate…”
“Sono qui per proporvi un affare. Mio padre comincia a sentire il peso dell’età che avanza e dopo tanti anni dalla morte di mia madre ha espresso la volontà di assumere una persona che ci possa aiutare nelle faccende domestiche purché si tratti di una ragazza a modo, discreta e ambiziosa di rendersi utile.”
“E con ciò?”
“Io avrei pensato a Bianca”
“Mia figlia in una casa di soli uomini!?!”
“Sua figlia in una casa di soli gentiluomini! La mia famiglia, dopo la Vostra, è tra le più rispettate dell’isola, e onorerà il lavoro di sua figlia con un lauto compenso. Credo sia meglio che servire ai tavoli di una locanda frequentata da gente di ogni genere per pochi spiccioli!”
Mio padre sembra vacillare. Non era preparato a questo. Per quanto lui lo neghi è sempre stato piuttosto sensibile al fruscio del denaro.
Giovanni, sul finire della sua proposta, estrae dalla tasca della sua giacca una scatola di legno stretta e lunga e la apre porgendola a mio padre: “Se credete potremmo suggellare i nostri accordi con un pregiato sigaro toscano che mio padre mi ha raccomandato di offrirvi in segno di gratitudine qualora aveste accettato.”
Mio padre sembra stregato da quel nero e irregolare cilindretto: “Ma… ma questo è un moro*! E’ rarissimo!”
Giovanni sorride ed insiste: “Tagliate, Vi prego!”
Mio padre passa un dito sulla scatola con aria sognante ma subito rinviene: “Accetto a una sola condizione.”
“Dite!”
“Dovrete trovare il modo di chiudere la bocca a quest’isola pettegola e di ripulire il buon nome della mia famiglia.”
“Lo troverò, mi servirà solo un po’ di tempo ma lo troverò.”
Mio padre taglia il toscano con gran soddisfazione. Il patto è stretto. Non avrei mai sperato di vederli fumare un sigaro insieme. A dire il vero nemmeno sapevo che Giovanni fumasse. .. né che avrei dovuto lavorare per lui!
*Moro: varietà di sigaro prodotta a mano ed in quantità limitata. E’ l'unica che prevede un solo sigaro all'interno di una confezione di legno con incisione ed ha un prezzo piuttosto elevato.
mercoledì 14 luglio 2010
35. La zuppa
Tutti i piatti sono vuoti, tranne il mio. Papà ci congeda: “Potete alzarvi” e le figlie obbedienti spariscono, ma non io. Rimango incollata alla sedia nella speranza che qualcosa accada: “Mamma… ti aiuto a sparecchiare?” Lei trattiene in bocca il suo primo pensiero, poi da uno sguardo vagamente supplichevole a mio padre che però non muove un ciglio: “No, Bianca, oggi siete libere, faccio io…” Libere? Libera di fare cosa? Di riflettere? Ancora? “Per favore mamma, lascia che ti aiuti”. Mio padre scatta in piedi spingendo la sedia dietro le ginocchia, appoggia le mani al tavolo e le carica di tutto il suo peso. Io raccolgo le mie forze pur sapendo che sto sbagliando tutto: il modo, il momento, il luogo. “Papà io non ho fatto niente di male…” Lui rimane piantato al tavolo ma alza la testa puntandola su di me e spara: “Oh sì che l’hai fatto, l’hai fatto eccome!” Io non do retta agli occhi di mia madre e continuo a cercare una soluzione: “Va bene, se tu credi questo allora dammi una punizione! Farò quello che vorrai!” Lui chiude gli occhi per ritrovare il senno e con una voce che tradisce ancora il suo risentimento: “No. Non c’è una punizione che aggiusti le cose. Tu sai quello che devi fare. E lo farai! Quando avrai chiuso la bocca all’isola, si vedrà”. Io non replico. Lui se ne và. Mentre riconduco lo sguardo a mia madre vedo Franca nascosta a mezza scala che mi lancia un amaro sorriso. Forse sono ancora una sorella. “Dai vieni ora, aiutami a sparecchiare…” e forse sono ancora una figlia.
domenica 11 luglio 2010
34. Muti sproloqui
Ora mamma comincerà a preparare il pranzo e tutte le figlie daranno una mano, ma non io. Io devo riflettere. Così ha ordinato papà. Perciò me ne sto qui sdraiata a contare le crepe del soffitto, e rifletto. Mi chiedo se qualcuno si prenderà mai la briga di parlarmi chiaramente o se dovrò passare il resto della vita ad immaginare quali meschine maldicenze abbiano tanto sconvolto mio padre. O se dovrò aspettare che qualche amica me le racconti, sempre che io riesca, un giorno, ad uscire da questa stanza! Rifletto. Un battibecco di pensieri mi si accapiglia nella mente: che farò adesso? Chi o cosa sbloccherà questa situazione? Io? Mio padre? Mia madre? Il tempo? Oppure Giovanni manterrà la sua promessa? “Non temere, sistemerò tutto io.” - Per un attimo ritrovo il suo abbraccio - E come lo farà? Quanto dovrò aspettare? Mi sembra di vivere tra l’incubo e il sogno. E se ora mi svegliassi e tutto svanisse? Non so se ne sarei più sollevata o più amareggiata. Non ne vengo a capo del perché tanta felicità debba portarsi appresso tanta frustrazione! Tutto potrebbe essere così semplice se solo la gente sapesse rispettare i sentimenti puri… invece no. Evidentemente gettare fango addosso agli altri dà l’illusione di essere meno sporchi... Eppure non è passato molto tempo da quando mi sentivo immune da qualsiasi malignità... Tutti conoscevano la mia serietà di ragazza per bene, perfettamente degna del cognome che porto. La famiglia Toso, detta “Timorato”*, ha sempre goduto di una fama irreprensibile, mai nessuno scandalo ha macchiato la sua storia… fino ad oggi. L’isola si nutre di queste cose più che di polenta e pesce: si attacca al minimo appiglio e ti divora. In un attimo tutto ciò che resta è un nome da bisbigliare all’orecchio, bocca dietro alla mano.
Un trambusto di scalini saliti di corsa arresta il flusso concitato dei miei muti sproloqui. Franca appesa alla maniglia compare giusto il tempo di quattro squillanti parole: “E’ pronto in tavola!” e subito richiude. Poi un ripensamento. Riapre quel tanto che basta ad infilare la testa: “Ma che fai ancora in camicia da notte!?! Sbrigati!!” e di nuovo scompare.
Io d’istinto obbedisco e mi vesto pur sapendo che scendere quelle scale non mi porterà niente di buono. Forse era meglio se mi lasciavano qui, del resto non ho nemmeno fame.
*In isola spesso ai cognomi venivano affiancati dei soprannomi tramandati di generazione in generazione per distinguere i vari rami delle famiglie.
giovedì 8 luglio 2010
33. Ferma, in piedi... e muta
Oggi la chiesa sarà più affollata del solito ed un via vai di fiori e rosari solcheranno il viale del cimitero per l’intera giornata. Tutti, ma proprio tutti, porgeranno un saluto ai defunti.
In chiesa potrò rivedere Giovanni. Non fosse per questo darei le spalle a questo giorno e mi rimetterei a dormire.
Mentre perdo tempo dietro a questi inutili pensieri su ciò che farei se i miei desideri contassero qualcosa, lascio cadere distrattamente la testa sulla mia guancia destra e mi accorgo di essere sola: “Ma che ore sono!?” Le piccole si sono alzate prima di me? Deve essere successo qualcosa!
Un colpo di reni, rapido più della mia volontà, mi tira fuori dal letto e mentre ancora incespico nel cercare di infilare le pantofole avverto dei passi frettolosi salire le scale. Rimango lì, ferma, in piedi. Un corpo ancora molle di sonno su un animo teso d’apprensione. Attendo. I passi zittiscono. Un lento movimento della maniglia precede lo schiudersi della porta. E’ mamma. Fa capolino tenendosi per metà fuori dalla stanza: “Ah, sei sveglia allora!” Io rimango ancora lì, ferma, in piedi… e muta. “Noi stiamo andando alla messa…”. Io sempre lì, sguardo fisso ai suoi occhi. “Papà ha ordinato che tu stia a casa…” Io lì, non un cenno, non una parola.“…a riflettere…”. Deglutisco, senza muovere un muscolo. “Ciao Biancaspina, ci vediamo più tardi…” Mamma abbandona un sorriso stentato prima di chiudersi dietro la porta.
Ricado a sedere sul letto, afflosciata nella mia camicia da notte come un pesante sacco vuoto. Ecco qua. E’ arrivato il momento… condannata a reclusione forzata… e per aver fatto che? Per essere nata in questa stupida isola linguacciuta!
Mi sento un macigno sul petto e sotto il suo peso crollo stesa lì dove sedevo. Mi abbraccio la faccia per nascondere lacrime che non voglio versare e perché quando piango divento brutta e nessuno mi deve vedere. Neanche tu, Gesù, che sei rimasto con me mentre tutto il paese sta venendo da te.
lunedì 5 luglio 2010
32. Il pennuto dal lungo becco
“Ora baastaaaa! Devo salire?” Eccola. Puntuale come previsto.
Franca e Dalia si infilano nel letto spinte a calci da quell’urlo spazientito … ed io con loro. Un soffio alla candela e: “Buonanotte…”
Nel buio qualche residuo di frenesia guizza ancora fra le due piccole anguille: “Ehi Bianca… ma com’è che stasera alla sagra te ne stavi tutta sola? Non ti sei divertita?” Bisbiglia sonoramente Dalia. Io non rispondo ed ingrosso il respiro fingendo di dormire. “E poi a un certo punto non ti si è più vista …dov’eri finita?” Continua Dalia con la sua solita impertinenza. “Ma lasciala in pace! Sempre a impicciarti tu!” Franca di nome e di fatto.
Io attendo paziente che tutto ritorni a tacere ma più avanza la notte più il silenzio si fa insopportabile e dilata il rumore dei miei pensieri. Nessuna distrazione mi può più salvare. Le immagini, i suoni, le sensazioni, si fanno presenze ingombranti che prendono corpo davanti ai miei occhi. Nell’anima ho mille soldati che lottano incauti fra gioia e dolore, certezza e dubbio, presente e futuro… fra sogno e destino.
Mai un uomo mi si era avvicinato tanto, mai l’avevo permesso… mi sembra di non avere alcun controllo su ciò che accade… tutto è così nuovo, inaspettato… al di la di ogni mia supposizione ma stranamente radicato in me… L’abbraccio di Giovanni mi ha preso le viscere e ne ha fatto voli di rondine. E’ questo l’Amore? E’ questa l’unione fra un uomo e una donna? D’un tratto un morso mi azzanna il cuore e rimango atterrita come un topo in trappola: “Quando un uomo e una donna si vogliono un bene sincero Dio, con un fischio, convoca il pennuto dal lungo becco…” mi raccontava mamma da bambina…
Porto le mani alla pancia ed ascolto.
Ti prego buon Dio taci, non emettere suono…
sabato 3 luglio 2010
31. Verso casa
La riva è scandita dai lumi di cera che scortano il rientro di ogni famiglia tra euforici avanzi di risa e il tenue sciacquare del mare. Il freddo comincia a farsi sentire e gli aliti sembrano sbuffi di nebbia ma il cielo è ornato da un velo di stelle che indosso qui mentre cammino.
Non devo pensare a domani. Lo voglio quest’attimo eterno... ma so che alla fine di questo pensiero mi sentirò sbattere dietro le spalle il legno pesante del nostro portone.
Bam!
venerdì 2 luglio 2010
30. La sagra
Sono più di due ore che siamo qua ed è già buio. Io me ne sto appoggiata al muretto e guardo la festa che folleggia negli occhi di tutti ma non riesco a vedere Giovanni. Cerco disperatamente la sua sagoma fra le tante ombre fiocamente illuminate. Papà, combattuto tra l’esigenza di controllarmi e la voglia di lasciarsi andare, dopo qualche esitazione ha ceduto allo stravizio e dal secondo bicchiere di rosso già non mi guarda più. Mamma scambia chiacchiere moderate, sembra tranquilla, quasi avesse la certezza che sua figlia farà la cosa giusta. Eppure non merito tanta fiducia perché ho un unico pensiero impigliato nel cuore: stasera potrebbe essere l’ultima occasione per vederlo … Non c’è, non c’è! Ma perché mi abbandona così?… ed io che sto qui a cercarlo come una stupida!
Avvilita mi allontano dalla confusione e vado nell’unico luogo deserto, la loggia antistante la chiesa. Siedo sul basamento che raccorda le colonne del portico dando le spalle allo scuro giardino. Mi prendo le ginocchia nelle braccia e ci appoggio il mento. “Ma dove sei!” Un groppo mi insidia la gola ma ricaccio il pianto negli occhi. La faccia è accaldata, le dita gelate. D’un tratto un pesante calore mi avvolge e mi toglie il respiro. Resto immobile. Due grandi mani si adagiano ai miei gomiti e un abbraccio stringe l’abbraccio che già avevo di me stessa. Mi sento al sicuro: “Giovanni…”. Il suo torace mi veste la schiena come un cappotto. Il suo collo tocca il mio collo. Poche parole sussurrate all’orecchio: “Non temere, sistemerò tutto io.”
Non ho più paura di niente. Lui si scioglie da me. Rimane il calore.
Non speravo sarebbe stato tanto dolce ricevere l’Amore di un uomo.
giovedì 24 giugno 2010
29. Oggi è festa per tutti
Finisce gustando anche l’ultima goccia e già con l’altra mano fruga in tasca alla ricerca del suo fidato mozzicone. Fra la tasca e la bocca papà è già in piedi diretto la porta. Io rimango di pietra. Ma come? Tutto qui? Neanche uno straccio di rimprovero? Prima che faccia un passo in più scatto in piedi incredula di averlo fatto: “Papà…” Lui si volta sulla soglia e mi guarda severo. “Non dovete dirmi nulla?… avete qualcosa da ordinarmi?” Masticando il suo sigaro mi volta le spalle: “No. Se ne parlerà domani… Oggi è festa per tutti.”
mercoledì 23 giugno 2010
28. Fiore di cardo
27. Cuore di sposa
domenica 20 giugno 2010
26. Bisbigli
Mio Dio! L’occhio maligno dell’isola non mi ha risparmiata! Richiudo la porta e, paonazza, rilascio il respiro prima di esplodere. Stupida stupida stupida! Lo sapevo che finiva così! Faccio un passo indietro ma una tavola sfacciata urla il mio sgomento. Maledetta traditrice! Lo spavento mi strattona verso il letto che m’inghiotte. Neanche l’ombra di una voce. Me ne resto irrigidita tra il rancore e lo sdegno per quest’isola pettegola che ha macchiato il mio destino. Non voglio che venga domani. Con che faccia scenderò da quelle scale? Come sosterrò gli occhi di mio padre? Come potrò ignorare le maldicenze del paese? Le ore passano mentre il cuore mi percuote i pensieri senza trovare un angolo tranquillo dove riposare. Sono sfinita... ma finalmente la luce dell’alba sveglia Gesù che dalla croce si prende tutti i miei tormenti e mi rimbocca le coperte.
venerdì 18 giugno 2010
25. Pioggia d'ottobre
martedì 15 giugno 2010
24. Riva o interno?
lunedì 14 giugno 2010
23. Unduèttre
domenica 13 giugno 2010
22. Condivisione tra pari
sabato 12 giugno 2010
21. La veranda
Una volta ci ho pure visto mia sorella Norma… con Corrado, e ben prima che fossero fidanzati in casa! Lo ricordo come fosse ora. Era il primo di novembre e, come domenica prossima, cadeva la Sagra di Ognissanti. Tutto il paese stava al campo della chiesa avvolto nel fumo del pesce arrostito e sazio del denso odore di fritto. Una bonaria ressa stonava canti alticci in faccia all’imponente massa di polenta in fette già tagliate a filo, pronte da prendere e addentare. Era il giorno dell’anno che tutti aspettavamo. Era il giorno dell’abbondanza. Per l’occasione molti pescatori offrivano una parte del loro bottino e ogni famiglia portava un litro di olio nuovo e una bottiglia di vino. Nell’aria tutta l’euforia e l’ebbrezza di gente che sembrava dover essere ricompensata, in una sola sera, delle fatiche di un anno intero. Non era ancora buio quando mamma mi ha chiesto di fare un salto a casa per prendere un vaso di marmellata di pesche che aveva promesso alla Signora Rosa, la padrona della locanda, e che aveva dimenticato. E’ stato fin troppo facile veder sbucare da quel groviglio di piante, la testa di Corrado alto com’è, per quanto accovacciato! Quei due stavano troppo vicini! Ma la scena era schermata dal fitto fogliame e quindi non posso e non voglio pensare che stessero facendo nulla di diverso dal parlarsi all’orecchio. Questa cosa la so solo io. Nemmeno a Norma l’ho mai detto… anche perché con quel caratterino è meglio tenersela buona! Ricordo però che al tempo mi sono sentita in diritto di giudicarla… ma ora la capisco molto di più.
Poche settimane dopo, Corrado è venuto a chiedere a papà il permesso di frequentarla. Da allora sono fidanzati ufficialmente e mi sa che fra non molto annunceranno il loro matrimonio.
Sono ben assortiti quei due e si vogliono un gran bene, si vede! E poi Corrado porta l’allegria a casa nostra. Ogni volta che c’è qualche festa e ci viene a trovare ci travolge a suon di barzellette, specialmente quando mio padre gliene versa uno di troppo!
20. Il rientro
Davanti al cancello di casa cerco di darmi un contegno. Faccio un bel respiro e rilasso la faccia per eliminare ogni residuo di quel sorriso euforico che mi sento dentro e somigliare di più alla Bianca di un’ora fa. Entro. Mamma sferruzza calze di lana rosse: “Va meglio?” Io tolgo lo scialle e lo appoggio sulla sedia: “Si, avevi ragione. Una passeggiata mi ha fatto bene”. Le schiocco un bacio sulla guancia e mi dirigo verso le scale. Lei guarda dalla finestra continuando a sferruzzare e con tono monocorde m’interpella: “Che hai in testa?” La sua domanda mi arriva come una stilettata. Non posso crederci: non l’ho tolto! “...No, niente... un fermaglio... l’ho trovato per terra...”. Continuo a salire le scale con accorta indifferenza. Non sento replica. Solo un botta e risposta tra il cigolio dei gradini sotto i miei piedi e lo scricchiolio della sedia sotto le sue ossute terga.
19. L'incontro
Ora siamo occhi negli occhi e mani nelle mani. Lui mi sorride ed io mi sento a casa. Da qui tutto comincia. Rinasco donna in un nuovo grembo: gli occhi suoi, che scoprono in me più di quanto io sappia.
Dalla finestra aperta della casa all’angolo giunge un sonoro starnuto della signora Rina a spezzare l’incanto.
“Vai angelo, che ti staranno aspettando”.
Io non trattengo l’energia e parto al galoppo. Prima di svoltare faccio un cenno con la mano.
Tutto il mio corpo ride.
Aveva ragione mamma. A camminare ci si scalda l’animo.
18. Gli amati defunti
Sono le cinque del pomeriggio. Me ne sto rannicchiata stretta al mio scialle sulla sedia della cucina. Mamma pela le patate. Dalla finestra guardo la giornata farsi sempre più grigia. Il rumore del coltello che spoglia i tuberi scandisce il mio tempo.
“Bianca togli i piedi da quella sedia” mi rimprovera mamma senza voltarsi. “Ormai sei una donna, ti pare il modo?”. Ed io: “Ho freddo”. Mamma mi lancia uno sguardo obliquo. Io senza guardarla faccio scivolare i calcagni fino al margine della seduta e li perdo per un attimo nel vuoto prima di accompagnarli a terra. Mi scappa un timido sbuffo.
Mamma inspira profondamente e si gira verso di me col coltello in una mano e una patata nell’altra. Io con aria colpevole raddrizzo la schiena accennando un mezzo sorriso.
“Bianca, stamattina non sei andata al cimitero. Vacci ora prima che chiuda che a camminare ti scaldi l’animo!” Io la guardo cercando un po’ di compassione ma lei ha deciso così. Mi alzo pesantemente dalla sedia. Lei torna alle sue faccende. Io con muta rassegnazione prendo lo scialle più pesante e mi ci avvolgo. Lo adagio sulle spalle e lo tengo anche davanti al viso per poterci respirare dentro. Mi avvio in una mesta processione verso gli amati defunti. Conto 164 sassi sulla strada da casa al cimitero. Entro. Arrivo in fondo al vialetto dove di solito comincia il giro degli onori ai trapassati. Con la mente percorro il solito tragitto e li saluto tutti: Nonna Elena, Zia Antonia, Zio Bruno, il cugino Luca nato morto… non dimentico nessuno. Ora però non voglio più restare. Giro i tacchi e da dove sono arrivata me ne torno.
17. Una donna
Nella sua lettera Giovanni mi ha parlato come ad una donna ed io tutto d’un tratto mi sento perfetta in questo ruolo. La sua donna.
L’avrò letta cento volte quella lettera. Ogni parola. Ogni accento. Ridisegno incessantemente il getto dell’inchiostro su quella carta leggera, ne ripercorro il viaggio a ritroso; mi infilo in quella penna e posso sentire il calore di una mano grande, il pulsare delle sue vene, il gorgoglio del suo sangue, la trepidazione del suo cuore.
127 parole occupano la mia mente. Non c’è spazio per nient’altro se non, ogni tanto, per il morbido crepitio di un foglio ormai logoro nella mia tasca sinistra ed il dolce pizzicar di denti del giardino di primule nascosto nella mia tasca destra.
16. Il dono
“Mia Amata,
se state leggendo queste righe forse avrete almeno considerato di accettare il mio piccolo dono e se insieme ad esso voleste accogliere anche tutto l’Amore che ho per Voi mi rendereste l’uomo più felice al mondo.
I miei sentimenti si scrivono da soli tanto è il trasporto che ho verso di Voi.
Lasciate che io mi perda nella gioia dei Vostri occhi.
Lasciate che io mi desti al tintinnio delle Vostre risate.
Lasciate che io raccolga le vostre lacrime e ne faccia acqua fresca da bere d’estate.
Lasciate, Vi prego, che io mi prenda cura di Voi per l’eternità e so che tutta la mia vita acquisterà un senso.
La Vostra felicità è la mia.
Non dite nulla. Io capirò.
Giovanni”
Passa una lacrima sulla mia faccia, sulle labbra si fa dolce e diviene una carezza.
15. Il pacchetto
14. Il dubbio
Nei giorni successivi ho cercato di scrollarmi di dosso la polvere magica di un sogno che mi stava affondando. Mi sono chiusa in un tombale silenzio di parole e di gesti. Ho lavorato tanto, ma non ho resistito a qualche spiata negli orari giusti, un po’ per abitudine un po’ perché proprio non ci riesco a lanciare una secchiata d’acqua su queste braci che ho sepolte in fondo al cuore.
13. La lettera
Si sta facendo autunno e il lavoro nei campi lentamente diminuisce. Spesso vado alla locanda per dare una mano con i servizi. Mamma mi ci manda perché è un modo come un altro per guadagnare qualcosa in tempi di magra e poi la padrona mi ha preso in simpatia e qualche volta mi da pure una mancetta extra. Anche alcune amiche mie coetanee ci vengono e così diventa un’occasione per passare qualche ora in compagnia specialmente quando ci fanno lavare le lenzuola nella zona esterna sul retro, dove c’è più possibilità di scambiare qualche chiacchiera. Anche se il lavoro è molto pesante le ore passano veloci fra una risata e l’altra. Oggi mi occupo del servizio ai tavoli insieme a Rita. Mentre ci incrociamo Lei si avvicina con fare furtivo e mi mette in tasca una busta da parte di suo fratello o almeno così mi pare di capire dalle poche parole che mi sussurra all’orecchio. Suo fratello è anche il miglior amico di Giovanni. Magari è un suo messaggio! Fremo per la curiosità ma non posso guardare di che si tratta se non fra qualche ora. Una volta a casa, senza avvertire mamma del mio arrivo, sguscio direttamente oltre il cancelletto che porta ai campi e mi rifugio dietro al capanno degli attrezzi. Spalle contro la parete cerco di dominare l’affanno che mi ha presa. Finalmente posso aprire la busta. E’ una lettera:
“Gentilissima Signorina Bianca,
con questa lettera desidero esprimervi il forte sentimento che ormai da troppo tempo tenevo celato nel mio cuore. Non posso più tacere. Non mi sento avventato nel dire che Voi siete tutta la mia vita e che qual’ora non voleste offrirmi il vostro Conforto d’Amore mi sentirei un uomo senza alcuno scopo. Attendo con ansia un qualsiasi vostro cenno ma Vi prego non spezzatemi il cuore.
Il vostro eterno servitore
Tavolati Antonio.”
“Tavolati Antonio!?” Stizzita lascio cadere le mani con tutta la lettera contro la sottana. “Tavolati Antonio. Ma è proprio il fratello di Rita! Non capisco. Come può essere! E’ il miglior amico di Giovanni! Sono inseparabili!” - Mi sento una stretta alle tempie.“Com’è potuto accadere!?”“Non posso credere di essermi immaginata tutto. Non posso!”
12. La confessione
11. La comunione
10. La casa blu
*Sandalo: imbarcazione longilinea e di modeste dimensioni tipica della Laguna Veneta.
9. La Messa
8. Il saluto
Arriva il battello, lui sale. Io in lontananza lo seguo con gli occhi e aspetto ancora. Lui sta sempre nella parte scoperta della barca, in piedi e sembra guardare verso di me ma non sono sicura, da così distante non riesco a vedere la direzione del suo sguardo così sposto la tenda e continuo a seguirlo mentre si allontana. Quando non riesco più a vederlo mi sporgo dalla finestra, è lontanissimo ma in quel momento, ogni volta, lui alza il braccio come se mi stesse salutando e lo tiene alzato finché scompare all’orizzonte. Solo allora io rispondo al suo saluto nella segreta speranza che, anche solo per un attimo, mi abbia vista.
7. Il corteggiamento
6. Giovanni
5. I ragazzi
Per noi ragazze questo è il momento più bello della settimana. Prima di uscire ci prepariamo: qualche elastico sapientemente posizionato e qualche fazzoletto accartocciato nei punti giusti a renderci più prosperose, dei bei pizzicotti per dare un po’ di colore alle guance, qualche morso alle labbra inumidite ci fa da rossetto, pochi tocchi con le dita a sistemare le onde dei nostri capelli ed eccoci pronte per farci ammirare dai nostri pretendenti ma con la massima disinvoltura e naturalezza se non anche un vago distacco che ci rende misteriose ed irraggiungibili ma al contempo irresistibili. La sfida è riuscire a sgattaiolare fuori senza farsi vedere da papà che sicuramente avrebbe qualcosa da ridire sul nostro aspetto… ma ci riusciamo sempre, anche perché in genere a quell’ora papà riposa nell’amaca sotto agli alberi di fico.
I ragazzi passano a piccoli gruppi in base all’età ed ognuno sceglie la ragazza da corteggiare ma si sa che alcune, le più carine, le più popolari, suscitano l’interesse di molti di loro ed è proprio così che cominciano i guai.
4. Il lavoro
3. La mamma
Qualche anno fa, mi ricordo – avrò avuto undici anni – giocavo sulla riva insieme a Franca, la piccola. La facevo camminare lungo il muretto che costeggiava il canale, tenendola per mano e a lei piaceva perché così raggiungeva quasi la mia stessa altezza e si sentiva grande. Procedevamo insieme per un bel pezzo, poi le lasciavo la mano, facevo un passo indietro, le rivolgevo le braccia e lei si lanciava, io la prendevo al volo e ritornavamo lungo la riva ripercorrendo lo stesso tratto, poi di nuovo sopra al muretto e da capo. Questo era il gioco.
All’ennesimo ripetersi di quel percorso sempre uguale, la piccola era di nuovo pronta a saltare, ma un pesce guizzò nel canale ed il mio sguardo lo afferrò. Un attimo dopo Franca era in acqua. Nemmeno il tempo di pensarlo ed era già successo. Franca si era sbilanciata all’indietro forse distratta anche lei dal quel guizzo.
Ancora oggi ho in mente i suoi occhi spalancati e confusi.
Rimasi immobile per un istante finché udii un pianto forte e continuo emergere dall’acqua. Mi sporsi dal muretto e la vidi lì, tutta bagnata e piena di fango, seduta nella secca. Ringraziai Dio per quella secca che non la fece annegare e per quel fango molle che non le fece male.
Scesi nel canale e la presi in braccio cercando di rassicurarla. In quel momento, quando capii che Franca stava bene, il mio primo pensiero fu: “Mamma mi ammazza!”.
Per fortuna mamma e papà stavano raccogliendo i carciofi insieme a Norma e Iole.
Entrai in casa come un ladro e portai Franca in camera, le tolsi i vestiti e con uno straccio bagnato la ripulii dal fango, quando all’improvviso una voce dietro di me:
“Cosa hai fatto!?”.
“Zitta Dalia! Aiutami, invece! Prendi dei vestiti puliti per Franca!”.
Lei avanzò un passo verso il comò ma subito si fermò:
“Prima dimmi cosa hai fatto!”
Io, stizzita:
“L’ho persa in acqua, va bene! L’ho persa, sei contenta adesso?! Ora dammi una mano, e se lo dici a mamma non so cosa ti faccio!”.
Alla fine riuscimmo a sistemare Franca prima che rientrassero i miei, lavai persino tutti i suoi vestiti sporchi e li riposi nell’armadio ancora bagnati nella speranza che asciugassero presto, al riparo da occhi indiscreti. Ma la cosa più impegnativa fu convincere Franca a non parlare di quel brutto episodio.
All’imbrunire tornarono i miei. Mamma si accorse subito che c’era qualcosa di strano:
“Ma stamane Franca non aveva il vestito a fiori?”.
Io, fingendo di non sentire, rimasi zitta e scivolai nell’altra stanza, il mio cuore era un treno! Poi silenzio, sentivo il mio sangue che saliva alla faccia. Poi di nuovo rumore di stoviglie e di faccende domestiche. Forse l’avevo passata liscia… forse.
Nei giorni successivi tutto sembrò andare per il meglio…
Mamma aveva capito che l’avevo combinata grossa ma, intuendo il peso enorme dei miei sensi di colpa, aveva saputo tacere. Da lì in poi non ricordo un giorno in cui non abbia pronunciato le parole: “Ti raccomando Franca!”
Mamma è una gran donna. Guardo lei e capisco il senso della mia vita. So cosa voglio essere e lo sarò.
2. Le sorelle
Noi invece siamo qui. Le tre sorelle più piccole. Bianca (che sono io), Dalia e Franca. Quindici, tredici e sette anni. Siamo le più vicine d’età e le più legate anche se per Franca, devo ammetterlo, ho un affetto particolare. Per lei non sono solo una sorella, ma anche una mamma, una maestra, una compagna di giochi, insomma, sono un po’ il suo punto di riferimento. In pratica l’ho cresciuta io e forse è proprio per questo che il nostro legame è così forte, ma non solo. Fisicamente ci somigliamo molto. A dire il vero tutte noi sorelle ci somigliamo, ma io e lei di più. E pure i nostri caratteri sono simili: ci piace ridere, amiamo lavorare in campagna, siamo energiche, di molte parole, di poche pretese e per niente complicate. Niente ci fa paura e la vita ce la sentiamo fremere dentro. Dalia invece ha un carattere un po’ strano, è spavalda e permalosa ed è sempre arrabbiata con quei suoi capelli crespi e neri, indomabili alla moda del momento. Cerca attenzione tutta per sé e lamenta sempre qualche malessere per garantirsela. Teme la morte. Io invece so che vivrò per sempre.
“Ragazze? La merenda!”
In campagna anche la merenda si fa presto.