E’ di nuovo domenica. Oggi si visitano gli amati defunti ma stamane dopo messa, col permesso di mamma, sono tornata subito a casa in preda a un gran mal di testa misto a sconforto. Ha cominciato a fare freddo e mi sono ammalata di malinconia. Giovanni è svanito nel nulla, da dieci giorni nessuno lo vede più. Sarà ammalato anche lui? Sarà partito? Non so che pensare.
Sono le cinque del pomeriggio. Me ne sto rannicchiata stretta al mio scialle sulla sedia della cucina. Mamma pela le patate. Dalla finestra guardo la giornata farsi sempre più grigia. Il rumore del coltello che spoglia i tuberi scandisce il mio tempo.
“Bianca togli i piedi da quella sedia” mi rimprovera mamma senza voltarsi. “Ormai sei una donna, ti pare il modo?”. Ed io: “Ho freddo”. Mamma mi lancia uno sguardo obliquo. Io senza guardarla faccio scivolare i calcagni fino al margine della seduta e li perdo per un attimo nel vuoto prima di accompagnarli a terra. Mi scappa un timido sbuffo.
Mamma inspira profondamente e si gira verso di me col coltello in una mano e una patata nell’altra. Io con aria colpevole raddrizzo la schiena accennando un mezzo sorriso.
“Bianca, stamattina non sei andata al cimitero. Vacci ora prima che chiuda che a camminare ti scaldi l’animo!” Io la guardo cercando un po’ di compassione ma lei ha deciso così. Mi alzo pesantemente dalla sedia. Lei torna alle sue faccende. Io con muta rassegnazione prendo lo scialle più pesante e mi ci avvolgo. Lo adagio sulle spalle e lo tengo anche davanti al viso per poterci respirare dentro. Mi avvio in una mesta processione verso gli amati defunti. Conto 164 sassi sulla strada da casa al cimitero. Entro. Arrivo in fondo al vialetto dove di solito comincia il giro degli onori ai trapassati. Con la mente percorro il solito tragitto e li saluto tutti: Nonna Elena, Zia Antonia, Zio Bruno, il cugino Luca nato morto… non dimentico nessuno. Ora però non voglio più restare. Giro i tacchi e da dove sono arrivata me ne torno.
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