mercoledì 14 luglio 2010

35. La zuppa

Un bel respiro e scendo. Sono già tutti a tavola. Uno strano silenzio svuota le bocche ingorde di zuppa. Hanno cominciato senza di me, tranne mamma che fa solo ora il primo boccone. Occupo l’unica sedia vuota, ma non è il mio solito posto. Ora accanto a papà ci sta Iole, che mi guarda con aria di sfida. Io però non lo mollo quell’odioso sguardo compiaciuto, finché cede alla cucchiaiata successiva e riporta gli occhi nel piatto. Osservo tutte le facce intorno a questo tavolo: Norma, Iole, mio padre, Dalia, Franca, mia madre. Una famiglia col capo piegato dal peso della mia colpa. Non faccio che rigirare la zuppa nel piatto e mi chiedo: chi sono io qui? A giudicare da quello che vedo non sono che un ospite indesiderato. Proprio ora che qualcuno vede in me una donna, non sono più né figlia né sorella ma un estranea a cui è stato concesso un pasto che nemmeno riesce a mangiare. Potevo essere di più … e invece ora non sono niente per nessuno.
Tutti i piatti sono vuoti, tranne il mio. Papà ci congeda: “Potete alzarvi” e le figlie obbedienti spariscono, ma non io. Rimango incollata alla sedia nella speranza che qualcosa accada: “Mamma… ti aiuto a sparecchiare?” Lei trattiene in bocca il suo primo pensiero, poi da uno sguardo vagamente supplichevole a mio padre che però non muove un ciglio: “No, Bianca, oggi siete libere, faccio io…” Libere? Libera di fare cosa? Di riflettere? Ancora? “Per favore mamma, lascia che ti aiuti”. Mio padre scatta in piedi spingendo la sedia dietro le ginocchia, appoggia le mani al tavolo e le carica di tutto il suo peso. Io raccolgo le mie forze pur sapendo che sto sbagliando tutto: il modo, il momento, il luogo. “Papà io non ho fatto niente di male…” Lui rimane piantato al tavolo ma alza la testa puntandola su di me e spara: “Oh sì che l’hai fatto, l’hai fatto eccome!” Io non do retta agli occhi di mia madre e continuo a cercare una soluzione: “Va bene, se tu credi questo allora dammi una punizione! Farò quello che vorrai!” Lui chiude gli occhi per ritrovare il senno e con una voce che tradisce ancora il suo risentimento: “No. Non c’è una punizione che aggiusti le cose. Tu sai quello che devi fare. E lo farai! Quando avrai chiuso la bocca all’isola, si vedrà”. Io non replico. Lui se ne và. Mentre riconduco lo sguardo a mia madre vedo Franca nascosta a mezza scala che mi lancia un amaro sorriso. Forse sono ancora una sorella. “Dai vieni ora, aiutami a sparecchiare…” e forse sono ancora una figlia.

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